Durante la seconda puntata di Michelle Impossible un duetto tra Michelle Hunziker e Belen Rodriguez ha permesso agli spettatori da casa di conoscere i loro drammi. Ce lo meritavamo davvero?
Mercoledì scorso è andata in onda la seconda puntata di Michelle Impossible & Friends, varietà con protagonista assoluta Michelle Hunziker.
Dopo il boom dell’esordio, i dati d’ascolto della seconda puntata sono stati decisamente più deludenti: 2.288.000 gli spettatori che hanno seguito la serata, per il 17.3% di share (un dato inferiore di tre punti a quello relativo alla puntata precedente). Ma non sono qui a parlare degli ascolti.
Voglio piuttosto parlare di “uno dei momenti più intensi e commoventi della seconda serata di Michelle Impossible & Friends su Canale 5. Tra tanti siparietti comici e divertenti, anche grazie alla presenza di Katia Follesa e Mago Forest, il duetto tra la showgirl svizzera e quella argentina arriva potente e diretto come un pugno allo stomaco”.
Virgoletto, perché le parole non sono mie ma sono tratte da Libero. Sì, proprio quel quotidiano – Libero – sempre pronto a smontare ogni buonismo di sorta, ad ironizzare su gretini vari ed eventuali, a ricordarci come a suo tempo comandassero i terroni ma la cui redazione si trova d’un tratto sensibile dinnanzi al duetto Hunziker – Rodriguez.
Hunziker – Rodriguez, un detto che è un pugno allo stomaco (?)
La showgirl italo-svizzera e quella argentina si sono raccontate, in una sorta di psicanalisi collettiva a spese degli inserzionisti (ché quantomeno lo show non è andato in onda sulla tv di Stato che paghiamo noi tutti) e della nostra pazienza, ché bisogna essere pazienti per accettare questi sfoghi in prima serata tra lustrini e pailletes.
“Non ho amici e non conosco la lingua, i compagni di classe mi picchiano e mi prendono in giro, mi chiamano terrona, in svizzero, ero la terrona degli svizzeri”: sono le parole della Hunziker, lette da Belen Rodriguez.
La padrona di casa del programma, le fa da eco leggendo le parole dell’argentina: “Devo andare a scuola, mi sento a disagio, tutti mi guardano, sono diversa dalle altre. Metterò dei cerotti sui capezzoli, per evitare che i miei compagni di classe mi diano fastidio”.
È solo l’inizio di una sequela di drammi vissuti e raccontati in questa occasione, tra documenti non in regola (per entrambe), parti ed aborti. Vite d’inferno, si direbbe. Per finire, il messagio finale “potentissimo” (scrive sempre Libero – potentissimo, cazz): “Siamo riuscite a scegliere la nostra libertà e finalmente ignoriamo i giudizi che possono fare tanto male. Abbiamo sbagliato? Certo. Abbiamo fatto delle cose giuste, ma la vita è questa e va bene così”.
Chiedo venia quindi e chiedo questo giudizio venga ignorato, come è ben possibile verrà fatto (da loro e da chiunque non leggerà mai questo post – potrei anzi parlare del dramma di chi scrive e non viene proprio letto? È un bel dramma, direi).
L’adolescenza è triste, ma come le cose belle finisce
Al netto dell’aborto (di cui da maschio bianco eterosessuale non mi permetterei mai di opinare) mi permetto – da maschio bianco eterosessuale terrone – di raccontare una vicenda che mi è capitata nella metà degli anni ’90. No, non è mansplaining, è solo una storiella.
Mi trovavo in una cittadina emiliana per uno stage calcistico, assieme a tanti ragazzini per lo più provenienti dal nord Italia (credo fossi l’unico a venire da Roma in giù). In sole quarantotto ore mi trovai a imitare goffamente un accento bergamasco (ero in stanza con dei ragazzini di Dalmine) per essere accettato e non essere chiamato terrone, come già avevano fatto in abbondanza nonostante i miei colori chiari e i miei occhi azzurri.
Niente di sbalorditivo: i ragazzini sono cattivissimi e io sì ero terrone (siciliano eh, mica svizzero). Embé?
Non lo ricordo come un trauma – come non ricordo come un trauma tanti altri piccoli drammi vissuti in adolescenza (leggendo il mio diario dei tempi, potrei dubitare non lo fossero a suo tempo). D’altra parte “l’adolescenza è triste, ma come tutte le cose belle finisce” (semi-cit).
E comprendo il relativismo, comprendo tutto, ma sono certo che mentre la Hunziker e la Rodriguez si sfogavano sul palco di Michelle Impossible, a casa c’era chi i drammi veri li ha dovuti vivere e li vive – e non solo nell’adolescenza.
Speravo che la tv in cui le lacrime facevano impennare l’auditel come la lira di Carcarlo Pravettoni stesse scomparendo. Purtroppo forse non è così. (Sebbene i dati auditel potrebbero farci pensare il contrario).